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Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera di una mamma della Scuola dell'Infanzia "Aldo Capitini", pubblicata anche su Quindici Online il 27 giugno 2015

 

bambini che giocanoIn questi decenni la scuola italiana sta attraversando una fase di continua riforma. Da don Milani (nel lontano 1967) ad oggi, passando attraverso la riforma Berlinguer, poi Moratti, Fioroni, Gelmini ed infine Profumo, superato il modello didattico nozionistico e trasmissivo, si è passati all’idea di una scuola che deve educare alla scelta, promuovere la capacità progettuale, selezionare i contenuti in base alla loro funzionalità in vista di un progetto globale e di un obiettivo finale che è la formazione della “persona”, competente ma soprattutto consapevole.

Proprio in riferimento alla scuola delle competenze si è parlato di “rivoluzione copernicana” ma guardando alla secondaria di primo grado, in quanto capace già di orientare l’allievo e ancor più alla secondaria di secondo grado che ha il gravoso compito di “avvicinare” gli studenti al mondo del lavoro (sulla scorta del modello duale tedesco tanto caro ai renziani ma difficilmente applicabile al nostro sistema scolastico che notoriamente non è in sinergia con il mondo del lavoro). Trascurate dal fantomatico DDL “La Buona Scuola”, invece, le scuole dell’infanzia e la primaria (appena citata).

Peccato! Perché i primi due gradini dell’istruzione di un futuro cittadino sono determinanti nella costruzione della personalità (ancor prima che della formazione) delle nuove generazioni. Il rischio di questa dimenticanza è, a mio modesto parere, assai pericoloso in un’epoca, qual è la nostra, caratterizzata dalla velocità dei cambiamenti, dalla paura del presente e di un futuro sempre più incerto e precario.

Colgo pertanto l’occasione per alzare il sipario su un grado di scuola, poco stimato dai ministri di turno, dai processi di riforma, dall’opinione pubblica in genere, ma essenziale nella graduale costruzione della educazione/formazione della personalità dei nostri piccoli, già bombardati dai mass media, ovattati da genitori spesso incapaci di assumersi responsabilità educative. Per questo, ho scelto attentamente la scuola delle mie figlie e accompagnato il loro percorso di crescita, traendo spunti originali per la mia personale attività lavorativa.

Quando ho iscritto mia figlia alla scuola dell’infanzia Aldo Capitini, ho fatto una scelta consapevole che prescindeva dai soliti fattori (vicinanza territoriale, qualità del servizio mensa,..). Ho consultato colleghe, mi sono informata e scelto un plesso di periferia dall’utenza eterogenea (una rarità!). Oggi sono orgogliosa e soddisfatta del percorso di crescita della mia bimba.

Durante questi anni, con la deformazione professionale tipica della mamma – docente, ho iniziato ad osservare anche solo dall’esterno le aule della Scuola “Capitini”, la cartellonistica, i libri, i disegni, per fortuna ancora cartacei (in un mondo ahimè troppo digitale) degli allievi. Ho osservato le graduali conquiste della mia bimba sorprendendomi della facilità di memorizzazione resa possibile dall’abitudine all’ascolto attivo, al dialogo ordinato, dal rispetto delle regole che manca a tanti dei nostri alunni di scuola secondaria! Ma ho soprattutto apprezzato il lavoro di tutte le docenti che costruiscono relazioni educative efficaci attraverso un lavoro in team che va oltre lo spazio fisico dell’aula e della propria classe.

Nell’epoca della frammentazione (zapping, spot, sms,..) che tante volte diventa un tratto distintivo della personalità di adulti e adolescenti, ho condiviso scelte metodologiche che considero davvero “forti”: lo stimolo alla lettura (Angolo Lettura, Progetto Lettura, Topolino di biblioteca) in una dimensione costruttiva (smontaggio e ricomposizione del testo e dei suoi elementi) e creativa (rilettura dei bambini, osservazione immagini/predizione, inferenze nel racconto,..). L’idea vincente è quella di un canovaccio a maglie larghe ovvero non un copione ma uno strumento per condividere un itinerario senza costringere il percorso della scoperta/conoscenza entro rigidi binari, di uno sfondo integratore che dia un senso comune alle esperienze pensate e progettate per e con i bambini, nel rispetto dei loro bisogni e delle differenti età.

Pur non potendo vedere in prima persona come si svolgono le attività didattiche (anche se le “Feste a tema” sono un momento straordinario di condivisione e non mera visione di spettacoli), ho potuto apprezzare l’efficacia di una metodologia che abitua i bambini alla novità rendendola rassicurante: penso ai metodi Ferreiro – Teberosky e Jeannot; ritengo, infatti, che la rassicurazione, oggi, sia un aspetto importantissimo specialmente nella nostra società, dominata dalla velocità dei cambiamenti, dalla precarietà (provocata dalla mobilità e flessibilità dell’attuale struttura economico – produttiva), dalla paura del futuro.

La novità comporta una scoperta (per es. le magie di Billy Joe o un testo a sorpresa) che solletica la curiosità per diventare sapere non imposto: la quotidianità è una lezione – non lezione basata sul dialogo, strumento di ricerca, e sul confronto circolare di idee, di ipotesi che portano il bambino al problem solving.

La Scuola Capitini è un “lavoratorio” in cui i bambini fanno esperienza diretta che significa porli davanti a situazioni problematiche aperte per il loro bagaglio conoscitivo. Ecco che la scuola diventa il luogo fisico della scoperta, cre – azione, ma anche in cui stravolgere per poi ricostruire attraverso i materiali o gli strumenti più vari, in un ascolto attento degli input raccolti dai bambini. Così un semplice testo diventa con – testo e pre – testo per “fare” con i bambini; più in generale, la scuola diventa officina creativa in cui piccoli alunni sperimentano se stessi, incontrano gli altri, collaborano e ovviamente imparano. Quindi luogo di vita in cui il bambino entra con la sua storia personale e la globalità dei suoi bisogni da soddisfare. Ma questa piccola scuola di periferia è, per mia figlia e tutti i suoi compagni, soprattutto il luogo in cui le esperienze acquistano significato a partire dalle emozioni e dagli affetti. Perché solo se c’è il benessere è possibile assecondare il desiderio dei bambini di curiosare, esplorare sviluppando la capacità di misurarsi con le proprie potenzialità di crescita.

Questo è, a mio avviso, il quadro di una scuola che si pone di fronte all’individuo in crescita in un’ottica di formazione globale, e di docenti che, con zelo ed amore, nell’anonimato delle riforme, non si limitano a fornire un sapere!

Concludo rivolgendo il mio personale ringraziamento al team di docenti di mia figlia, alle colleghe di interclasse, alle educatrici, alle collaboratrici e, naturalmente, un grazie alla D.S. Nicoletta Paparella, in una parola, a tutti coloro che da anni offrono l’esempio di una Buona Scuola, aperta alla realtà di un quartiere periferico caratterizzato dalla presenza di altre scuole ma lontana da quelle logiche di mercato che promuovono l’offerta formativa per acquisire utenza e visibilità.

© Riproduzione riservata                                  Cinzia Samarelli

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